mercoledì 12 giugno 2013

Voglio il dito di Ken Shiro: come sopravvivere ai trasporti mancuniani?


Post di Juana Romandini


Avete presente gli annunci che si leggono sui treni inglesi, quelli sul tenere la musica bassa, sul non parlare al telefono perche' "potrebbe causare disturbo agli altri passeggeri che sono con voi"?
Ecco.
Forget about it.
Queste semplici regole della civile convivenza tanto rispettate al Sud qui non sono applicabili. Non a Manchester, non nella terronia d'Inghilterra.
Nella terronia d'Inghilterra i capotreni e gli autisti dei bus neppure ce lo sprecano il fiato per ricordarvi queste cose. Le orecchie dei mancuniani, foderate da un cerume che manco la gommina degli auricolari riesce a bucare, da quella parte li' proprio non ci sentono. Tu, per contro, la loro musica di merda la senti benissimo. Perche' legge di Murphy dice: piu' di merda e' musica, piu' alto il volume, piu' vicino a te siede il cerebroleso che la ascolta.
Sempre.
Per non parlare di quelli che decidono di spararsi tutto l'archivio YouTube a volume 50 dalle casse del telefono. Massi'. Perche' no.
Quelli meriterebbero che il mongolino d'oro uno glielo spacchi in testa.


Mentre ogni sorta di pensiero ti batte in testa al ritmo della sua musica da concime, ce ne e' uno tra tutti che prevale.
Voglio il dito di Kenshiro.
Si'. Proprio lui.
Voglio il suo dito perche' lo voglio affondare nello schermo dell'iPhone di questo minchione fino a fargli eruttare i circuiti fuori dal foro. Voglio bacchettarglielo con quella serie di tatatatatata! che ha reso Kenshiro leggenda. A quel punto guardero' il minchione singhiozzare sul suo telefono disintegrato, mentre con un kleenex spolvero via i circuiti dal mio indice e medio.
Ma io non sono Kenshiro, purtroppo. Io non ho il suo dito.
L'iPhone del minchione posso spaccarlo al massimo con l'angolo del mio Kindle. Tanto, grazie a lui e a tutti i suoi degni compari, leggere sul bus e' un'utopia. Se io spacco l'iPhone al minchione, lui non crolla a terra disperato e piange - perche', appunto, io non sono Kenshiro. Se io a questo spacco l'iPhone, lui mi molla un cazzotto in faccia nel tipico stile british mancuniano. Percio' sto zitta. E cerco comunque di leggere. E mi giro. E lo fulmino con lo sguardo. Posso almeno fulminarlo con lo sguardo? No. Perche' a quel punto lui alza il volume. E a quel punto tutto il bus puo' sentirlo. Anche il piano di sotto. Ma lui no, lui alza ancora, alza finche' pure la Regina, somma capa della Chiesa Anglicana, Dio salvi la Regina, lo sente. E' una musica di merda fatta di due note, ma la sua testa vuota non riesce ad elaborare nemmeno quelle due note in croce. Il suo unico neurone, quello che usa per camminare/digerire/parlare/respirare, per capirci, va facendo ping-pong beato nello spazio in cui la gente normale ha il cervello. Il collo s'allunga e si ritira a ritmo di rap. Il minchione seduto affianco a me e' l'immagine dell'involuzione del genere umano, l'Homer Simpson d'Albione, il Sid sopravvissuto all'Era Glaciale.


Per favore tenere il volume dei vostri apparecchi al minimo al fine di non disturbare gli altri passeggeri che viaggiano con voi, grazie!
L'Inghilterra e' bella perche' e' varia, e ancora piu' esilarante e' come gli inglesi del Sud guardano gli altri dalla punta del loro nasino sbiancato dalla pioggia senza contemplare minimamente l'esempio di alta civilta' offerto dai loro connazionali del Nord.
E mentre loro ti scrutano con quel nasino all'insu' e il labbro rigido, tu pronunci riti sciamanici irripetibili perche' il tipo, immancabilmente, dopo essersi fatto tutta la tratta del bus respirandoti sul collo, decide di scendere con te. E magari, gia' che c'e' e visto che non ha scassato gli zebedei abbastanza, decide di andare pure lui da Tesco, facendosi la strada dietro di te.
Dio salvi la Regina.



Ken, sei tu, fantastico guerriero,
Sceso come un fulmine dal cielo...



sabato 16 marzo 2013

Albione e la burocrazia – Episodio n. 2



Post di Marta Calanca

Mi trasferisco in un nuovo appartamento a gennaio, quando l’anno fiscale è quasi agli sgoccioli (nel Regno Unito, finisce a marzo).
Dopo essermi registrata sul sito del comune di Stockport, qualche giorno dopo ricevo una comunicazione per posta in cui mi viene addebitato il saldo della Council Tax (tassa sull’abitazione e sui servizi comunali ad essa connessi - N.d.A.) in un’unica soluzione. Eh no. Tu me lo chiedi prima come voglio pagare, non che mi addebiti 200 e passa sterline da pagare sull’unghia.
Telefono al comune e chiedo se sia possible pagare in due rate. Mi viene risposto di sì, al che io chiedo perché non mi sia stato proposto sin dall’inizio. L’operatore risponde: “Ma noi pensavamo fosse più comodo per lei saldare in un’unica soluzione”. E certo, perché mi chiamo Paris Hilton! Comunque, l’agente mi dice che ri-setterà la fatturazione e mi invierà conferma per posta. A quel punto chiedo anche se si possa attivare un direct debit per il pagamento mensile e se lo posso fare online. Mi dice che è possibile, ma solo per telefono. Ma come, di nuovo? Ma non vivevamo in un Paese moderno e tecnologico? Io rispondo all’agente che non ho i dati del conto con me, in quel momento, e che dovrò chiamare di nuovo. Riesco a reperire i dati e chiamo di nuovo. Al primo tentativo, prendo la linea dopo 20 minuti di attesa, ma mi viene chiuso il telefono in faccia. Furibonda, richiamo. Questa volta va meglio, solo dieci minuti. Finalmente riesco ad attivare il direct debit e dico chiaramente all’operatore che voglio che la Council Tax venga scalata ogni primo del mese (si può scegliere tra 1, 15 e 30 di ogni mese). Anche in questo caso l’agente, che è lo stesso con cui ho parlato la prima volta, dice che invierà una conferma per posta.
La conferma arriva qualche giorno dopo, e il Comune mi annuncia di aver ricevuto correttamente la mia richiesta e che la Council Tax verrà addebitata ogni 15 del mese. Non ci posso credere. Ho detto chiaramente all’operatore che volevo la fatturazione ogni primo del mese!
Morale della favola: ho dovuto di nuovo contattare il Comune ma, alla fine, se ne è venuto a capo.

La lezione che ho imparato da questa storia è che bisogna sempre avere quattro occhi e controllare, ché la fregatura è sempre dietro l’angolo…

lunedì 11 marzo 2013

Albione e la burocrazia – Episodio n. 1



Post di Marta Calanca

Il Manchester City Council ha uno sportello di servizi linguistici che permette a interpreti e traduttori di registrarsi presso di esso come collaboratore freelance. Interessata dall’opportunità, visito il sito web per saperne di più. E già qui mi meraviglia il fatto che, per registrarsi, occorra andare DI PERSONA presso l’ufficio addetto. Tutto questo accade nell’epoca dei servizi telematici. Questa cosa mi scoccia non poco perché, per sbrigare la pratica, devo prendermi mezza giornata di ferie visto che lo sportello di sabato mattina è CHIUSO. Per non parlare degli orari d’apertura infrasettimanali: 10am – 4 pm. Bella la vita dei dipendenti pubblici.

Comunque, mi organizzo per sistemare questa faccenda e, tra grandi speranze, mi reco presso il maestoso ufficio del Council, ubicato in un nuova lottizzazione a pochi passi dal centro. D'accordo con le informazioni (sommarie) riportate dal sito web, porto con me soltanto il NIN (l’equivalente del codice fiscale italiano) e il passaporto. Una volta arrivata, chiedo al desk informazioni quale sia lo sportello servizi linguistici. Una gentilissima signorina velata me lo indica e mi chiede di sedermi, ché l’addetta si è allontanata un attimo. Aspetto in compagnia di due anziani asiatici. Passano cinque, dieci minuti finché la fantomatica addetta si presenta con una faccia poco contenta, raccoglie le sue cose e i due anziani e SE NE VA, nonostante si fosse accorta che ci fosse gente in fila. A questo punto, io e la ragazza che era in fila con me torniamo dalla signorina col velo spiegando l’accaduto, la quale ci risponde: “Sì, è vero, si è presa il pomeriggio libero. Un attimo che chiedo se c’è qualcuno che la può sostituire”. Sul desk della signora disertrice c’è un avviso che recita: “Qualora il personale fosse assente, si prega di contattare il numero XXXX”. La signorina compone il numero XXXX indicato ma non riesce a contattare nessuno. A questo punto, ci prega di nuovo di sederci, spiegandoci che andrà a recuperare qualcuno di persona. Dopo cinque minuti si presenta un signore distinto che, deo gratias, sarà in grado di aiutarci. Attendo pazientemente il mio turno. Quando spiego il motivo per cui sono venuta lì, il signore mi consegna un modulo da compilare, dal quale scopro che… servono due referenze! Di cui, ovviamente, il sito web non fa menzione. Io non ricordavo a memoria i dati delle persone contattabili e spiego al signore che ho dovuto prendere mezza giornata di ferie appositamente per quello. Al che mi risponde: “Non fa niente, le referenze me le puoi spedire per email”. Fatemi capire: il comune non ha implementato una modalità di registrazione online ma è possibile integrare la documentazione via email? Per me non ha senso. Consiglio dell’esperta: se dovete portare dei documenti in comune, telefonate ed ESIGETE di sapere tutto quello che vi sarà richiesto.

sabato 9 febbraio 2013

Medicina in Inghilterra, questa sconosciuta: una testimonianza esterna


Post di Juana Romandini

Quanto segue e' un commento arrivato in seguito al mio articolo Medicina in Inghilterra, questa sconosciuta: il ritorno. Non ho nulla da aggiungere. Si commenta da se'. Sono rimasta agghiacciata.
Grazie a Sabrina Locatelli per avermi autorizzata attraverso questo post a condividere la sua terribile esperienza.

Commento inviato il 03/02/2013 alle 13:04 dall'utente Sabrina Locatelli

Complimenti per l’articolo! Hai raccontato fatti in cui tutti quelli che hanno vissuto o vivono in Inghilterra possono riconoscersi.
Nel 2007 io lavoravo in un ristorante (con buona laurea in tasca) e il mio ragazzo ha perso l’impiego. Conti alla mano e con affitto in scadenza (che non ci avrebbero rinnovato, a meno delle firme dei genitori) abbiamo deciso di partire per l’Inghilterra. Come molti italiani, siamo arrivati a Londra. Entrambi parlavamo un inglese sufficiente (non il classico inglese scolastico), eppure pur avendo due buone lauree tutto ciò che siamo riusciti a trovare è stato un lavoro come camerieri. Minimo sindacale (e molte ore extra non pagate), turni incredibili, umiliazioni impossibili da sostenere. Il capo (tunisino) del mio ragazzo continuava a dire che lui ha subito vessazioni appena arrivato per cui era giusto che tutti ne subissero. Dopo poche settimane, a turno, ci siamo ammalati. Io ho avuto una brutta influenza, lui molto peggio di me. Abbiamo perso il lavoro dopo 3 giorni a casa ed eravamo ormai rimasti senza alcun soldo. Quello che avevamo messo da parte è sfumato in poco tempo ed eravamo malati e in bolletta. Abbiamo dovuto chiedere ai nostri genitori un aiuto per pagare la Oyster, necessaria anche solo per cercare lavoro.

La nostra esperienza con l’NHS potremmo riassumerla come disastrosa. Dopo quattro giorni di febbre, io ho iniziato a migliorare, lui no. Urine scure, carenza di appetito, dolori generalizzati, mani e piedi gonfissimi. Dietro consiglio del suo medico (italiano), siamo corsi al pronto soccorso. Lo hanno visitato dopo varie ore di attesa e di maltrattamenti e dato che la sala d’attesa era troppo piena, sono stata gentilmente invitata ad andarmene in quanto occupavo spazio prezioso e la mia presenza era intuile. Ma quale inutile, lui aveva nausea e sveniva di continuo, chi lo avrebbe raccolto se fosse caduto a terra? Inoltre c’erano sedie in abbondanza e anche se la stanza era effettivamente affollata, nessuno era rimasto in piedi. Intorno a noi, gente sanguinante o, peggio, con strane irritazioni, insieme a tossicodipendenti in astinenza (quindi violenti), ubriachi che hanno avuto qualche incidente, e gente di questo genere.
Io non me ne sono andata, pur sentendo borbottare, fino a quando lo hanno chiamato in visita. Non mi hanno fatto entrare, ma ho pensato che mi avrebbero dato informazioni in tempi ragionevoli, rassicurata dal “don’t worry, i’ll let you know” dell’infermiera. Peccato che il suo turno finisse 30 minuti dopo e non avesse raccontato della promessa a nessuno.

Dopo 3 ore, ho chiesto alla nuova infermiera: non ne sapeva nulla e, anzi, mi ha quasi aggredita urlando che non può sapere anche dei pazienti arrivati e visitati prima del suo arrivo. Le ho chiesto un controllo al computer, mi ha risposto che non era tenuta a farlo e che, dunque, non lo avrebbe fatto. Dopo 6 ore, ho iniziato a pretendere di avere qualche informazione. Dopo innumerevoli minacce, sono riuscita a sapere che era stato ricoverato. Sono dunque corsa in reparto (avevo ancora malessere, ma ero ormai guarita) e non mi hanno fatta entrare in quanto fuori dall’orario di visita. La gentile infermiera ha acconsentito di riferire un mio messaggio, che lui almeno avesse notizia della mia presenza. L’ho ringraziata e mi sono messa in attesa. Sarei potuta entrare dopo quasi 2 ore.

All’apertura delle porte, sono corsa nella sua stanza, ma lui non c’era. Ho pensato lo avessero portato a fare qualche controllo, per cui mi sono messa in attesa. Dopo un’ulteriore ora, ho chiesto. Era in sala operatoria! Per farla breve, hanno notato una “sospetta” insufficienza renale e hanno visto un rene ingrossato. Senza neanche informarsi sulla storia medica, senza dirgli NULLA di specifico, hanno deciso che il rene andava immediatamente rimosso e così hanno fatto. Ho iniziato a urlare, sapevo che il rene ingrossato fosse una sua caratteristica e che non volesse assolutamente dire nulla. Il suo medico italiano ha confermto: il rene ingrossato lo aveva sempre avuto e a causa della nefrite che indubbiamente lo aveva colpito, i medici hanno pensato che quello potesse essere l’origine del problema. Come, non lo abbiamo capito. In pratica, gli hanno tolto un rene assolutamente sano in una situazione in cui sarebbe bastata qualche cura mirata e tutto sarebbe rientrato nella norma in pochi giorni! E quando abbiamo fatto notare che ALMENO avrebbero dovuto chiederci o dirci qualcosa (se non a me, a lui), hanno risposto che sulla cartella c’era stato scritto che il paziente era confuso già alla prima visita (FALSISSIMO!!!!!) e che NON PARLAVA E NON CAPIVA L’INGLESE!!!! Ma lui ricorda tutto, ha parlato con l’infermiera e il medico (giovanissimo, presumibilmente un tirocinante) non gli ha neanche rivolto parola. Nessuno gli ha spiegato che lo avrebbero sedato, tantomeno che lo avrebbero aperto in due!!!!!

Lui è voluto tornare subito in Italia e ha iniziato una battaglia legale, ancora in corso, con il sistema sanitario inglese. Non la vincerà perché, pur se le cartelle non dicono che c’era ragione di rimuovere il rene, la legge inglese dice che se il medico lo ha ritenuto opportuno, in quel momento, ha piena ragione, anche se poi i fatti smentiscono la cosa. Vivrà con un rene in meno per la loro incompetenza.
Lui non è più voluto tornare in Inghilterra, io, confusa, ho deciso di restare ancora e tentare in altro modo. Rispondendo a degli annunci di lavoro, sono finita a Birmingham e ho iniziato a lavorare in un ufficio, dopo qualche settimana d’inferno in un call centre. Sono rimasta quasi 5 anni, facendo continui viaggi verso l’Italia per stare con lui che, comprensibilmente, non voleva più mettere piede in Inghilterra. Ho avuto buoni guadagni, ho conosciuto molta gente, ho avuto bei momenti ma poi ho capito che lo stipendio non è tutto e che la vita è un’altra cosa. In Inghilterra si vive per fare soldi, per poi spenderli in cose futili. Birra, serate fuori, bollette (altissime, paragonate ai servizi offerti), affitti, trasporti. A fine mese, non restava comunque quasi nulla.

Nel febbraio 2012 ho iniziato a mettere in cantiere la possibilità di tornare indietro, con i soldi messi da parte avrei potuto tirare avanti quasi un anno. Ero terrorizzata, ma dentro di me capivo che quella inglese non sarebbe potuta che essere una parentesi. Vuoi vivere una vita intera così? Vuoi mettere al mondo dei figli qui? Vuoi un futuro col tuo uomo oppure vuoi cercare un uomo qui? Razionalmente ho deciso di tornare. C’è voluto del tempo prima che accettassi la mia decisione (presa con la ragione e con parte del cuore, ma frenata da molti altri aspetti e da tante lacrime). Oggi non cambierei nulla della mia vita attuale con la mia vita inglese: grazie al mio curriculum (non ho fatto nulla di particolare, ma le aziende italiane apprezzano chi s’è fatto la gavetta all’estero) e alla conoscenza della lingua, ho trovato un buon lavoro in meno di due mesi, guadagnando poco meno di quello che prendevo in Inghilterra (e lo stipendio era molto buono) ma con malattia, TFR, tredicesima e quattordicesima e INPS. In meno di un anno ho già avuto un avanzamento di carriera, dandomi anche soddisfazione e prestigio. Ho la mia macchina, una casa confortevole e solida affittata dal mio ragazzo e ora, anche se gli affitti sono aumentati, continiuamo a pagare il giusto (e anche sulle case e affitti inglesi potrei scrivere per ore!), cibo buono e un servizio sanitario dignitoso. Posso finalmente pianificare qualcosa nella mia vita, sposarmi, avere un bimbo, affacciarmi e vedere il sole più di 15 giorni l’anno, essere più serena.

Spero che la mia esperienza possa essere stata d’aiuto. Consiglio personalmente a tutti di provare a confrontarsi con l’estero, con un mondo diverso e una vita diversa. Aiuta a crescere, a migliorarsi, a imparare moltissime cose, ma si impara anche che casa propria non è così terribile come molti la dipingono e che chi sta male e ha continuamente bisogno di cambiamenti, dimostra di star male con il proprio io, e non con l’ambiente circostante. Ma se vi ammalate, PRENDETE IL PRIMO AEREO PER QUALUNQUE AEROPORTO ITALIANO!



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