sabato 9 febbraio 2013

Medicina in Inghilterra, questa sconosciuta: una testimonianza esterna


Post di Juana Romandini

Quanto segue e' un commento arrivato in seguito al mio articolo Medicina in Inghilterra, questa sconosciuta: il ritorno. Non ho nulla da aggiungere. Si commenta da se'. Sono rimasta agghiacciata.
Grazie a Sabrina Locatelli per avermi autorizzata attraverso questo post a condividere la sua terribile esperienza.

Commento inviato il 03/02/2013 alle 13:04 dall'utente Sabrina Locatelli

Complimenti per l’articolo! Hai raccontato fatti in cui tutti quelli che hanno vissuto o vivono in Inghilterra possono riconoscersi.
Nel 2007 io lavoravo in un ristorante (con buona laurea in tasca) e il mio ragazzo ha perso l’impiego. Conti alla mano e con affitto in scadenza (che non ci avrebbero rinnovato, a meno delle firme dei genitori) abbiamo deciso di partire per l’Inghilterra. Come molti italiani, siamo arrivati a Londra. Entrambi parlavamo un inglese sufficiente (non il classico inglese scolastico), eppure pur avendo due buone lauree tutto ciò che siamo riusciti a trovare è stato un lavoro come camerieri. Minimo sindacale (e molte ore extra non pagate), turni incredibili, umiliazioni impossibili da sostenere. Il capo (tunisino) del mio ragazzo continuava a dire che lui ha subito vessazioni appena arrivato per cui era giusto che tutti ne subissero. Dopo poche settimane, a turno, ci siamo ammalati. Io ho avuto una brutta influenza, lui molto peggio di me. Abbiamo perso il lavoro dopo 3 giorni a casa ed eravamo ormai rimasti senza alcun soldo. Quello che avevamo messo da parte è sfumato in poco tempo ed eravamo malati e in bolletta. Abbiamo dovuto chiedere ai nostri genitori un aiuto per pagare la Oyster, necessaria anche solo per cercare lavoro.

La nostra esperienza con l’NHS potremmo riassumerla come disastrosa. Dopo quattro giorni di febbre, io ho iniziato a migliorare, lui no. Urine scure, carenza di appetito, dolori generalizzati, mani e piedi gonfissimi. Dietro consiglio del suo medico (italiano), siamo corsi al pronto soccorso. Lo hanno visitato dopo varie ore di attesa e di maltrattamenti e dato che la sala d’attesa era troppo piena, sono stata gentilmente invitata ad andarmene in quanto occupavo spazio prezioso e la mia presenza era intuile. Ma quale inutile, lui aveva nausea e sveniva di continuo, chi lo avrebbe raccolto se fosse caduto a terra? Inoltre c’erano sedie in abbondanza e anche se la stanza era effettivamente affollata, nessuno era rimasto in piedi. Intorno a noi, gente sanguinante o, peggio, con strane irritazioni, insieme a tossicodipendenti in astinenza (quindi violenti), ubriachi che hanno avuto qualche incidente, e gente di questo genere.
Io non me ne sono andata, pur sentendo borbottare, fino a quando lo hanno chiamato in visita. Non mi hanno fatto entrare, ma ho pensato che mi avrebbero dato informazioni in tempi ragionevoli, rassicurata dal “don’t worry, i’ll let you know” dell’infermiera. Peccato che il suo turno finisse 30 minuti dopo e non avesse raccontato della promessa a nessuno.

Dopo 3 ore, ho chiesto alla nuova infermiera: non ne sapeva nulla e, anzi, mi ha quasi aggredita urlando che non può sapere anche dei pazienti arrivati e visitati prima del suo arrivo. Le ho chiesto un controllo al computer, mi ha risposto che non era tenuta a farlo e che, dunque, non lo avrebbe fatto. Dopo 6 ore, ho iniziato a pretendere di avere qualche informazione. Dopo innumerevoli minacce, sono riuscita a sapere che era stato ricoverato. Sono dunque corsa in reparto (avevo ancora malessere, ma ero ormai guarita) e non mi hanno fatta entrare in quanto fuori dall’orario di visita. La gentile infermiera ha acconsentito di riferire un mio messaggio, che lui almeno avesse notizia della mia presenza. L’ho ringraziata e mi sono messa in attesa. Sarei potuta entrare dopo quasi 2 ore.

All’apertura delle porte, sono corsa nella sua stanza, ma lui non c’era. Ho pensato lo avessero portato a fare qualche controllo, per cui mi sono messa in attesa. Dopo un’ulteriore ora, ho chiesto. Era in sala operatoria! Per farla breve, hanno notato una “sospetta” insufficienza renale e hanno visto un rene ingrossato. Senza neanche informarsi sulla storia medica, senza dirgli NULLA di specifico, hanno deciso che il rene andava immediatamente rimosso e così hanno fatto. Ho iniziato a urlare, sapevo che il rene ingrossato fosse una sua caratteristica e che non volesse assolutamente dire nulla. Il suo medico italiano ha confermto: il rene ingrossato lo aveva sempre avuto e a causa della nefrite che indubbiamente lo aveva colpito, i medici hanno pensato che quello potesse essere l’origine del problema. Come, non lo abbiamo capito. In pratica, gli hanno tolto un rene assolutamente sano in una situazione in cui sarebbe bastata qualche cura mirata e tutto sarebbe rientrato nella norma in pochi giorni! E quando abbiamo fatto notare che ALMENO avrebbero dovuto chiederci o dirci qualcosa (se non a me, a lui), hanno risposto che sulla cartella c’era stato scritto che il paziente era confuso già alla prima visita (FALSISSIMO!!!!!) e che NON PARLAVA E NON CAPIVA L’INGLESE!!!! Ma lui ricorda tutto, ha parlato con l’infermiera e il medico (giovanissimo, presumibilmente un tirocinante) non gli ha neanche rivolto parola. Nessuno gli ha spiegato che lo avrebbero sedato, tantomeno che lo avrebbero aperto in due!!!!!

Lui è voluto tornare subito in Italia e ha iniziato una battaglia legale, ancora in corso, con il sistema sanitario inglese. Non la vincerà perché, pur se le cartelle non dicono che c’era ragione di rimuovere il rene, la legge inglese dice che se il medico lo ha ritenuto opportuno, in quel momento, ha piena ragione, anche se poi i fatti smentiscono la cosa. Vivrà con un rene in meno per la loro incompetenza.
Lui non è più voluto tornare in Inghilterra, io, confusa, ho deciso di restare ancora e tentare in altro modo. Rispondendo a degli annunci di lavoro, sono finita a Birmingham e ho iniziato a lavorare in un ufficio, dopo qualche settimana d’inferno in un call centre. Sono rimasta quasi 5 anni, facendo continui viaggi verso l’Italia per stare con lui che, comprensibilmente, non voleva più mettere piede in Inghilterra. Ho avuto buoni guadagni, ho conosciuto molta gente, ho avuto bei momenti ma poi ho capito che lo stipendio non è tutto e che la vita è un’altra cosa. In Inghilterra si vive per fare soldi, per poi spenderli in cose futili. Birra, serate fuori, bollette (altissime, paragonate ai servizi offerti), affitti, trasporti. A fine mese, non restava comunque quasi nulla.

Nel febbraio 2012 ho iniziato a mettere in cantiere la possibilità di tornare indietro, con i soldi messi da parte avrei potuto tirare avanti quasi un anno. Ero terrorizzata, ma dentro di me capivo che quella inglese non sarebbe potuta che essere una parentesi. Vuoi vivere una vita intera così? Vuoi mettere al mondo dei figli qui? Vuoi un futuro col tuo uomo oppure vuoi cercare un uomo qui? Razionalmente ho deciso di tornare. C’è voluto del tempo prima che accettassi la mia decisione (presa con la ragione e con parte del cuore, ma frenata da molti altri aspetti e da tante lacrime). Oggi non cambierei nulla della mia vita attuale con la mia vita inglese: grazie al mio curriculum (non ho fatto nulla di particolare, ma le aziende italiane apprezzano chi s’è fatto la gavetta all’estero) e alla conoscenza della lingua, ho trovato un buon lavoro in meno di due mesi, guadagnando poco meno di quello che prendevo in Inghilterra (e lo stipendio era molto buono) ma con malattia, TFR, tredicesima e quattordicesima e INPS. In meno di un anno ho già avuto un avanzamento di carriera, dandomi anche soddisfazione e prestigio. Ho la mia macchina, una casa confortevole e solida affittata dal mio ragazzo e ora, anche se gli affitti sono aumentati, continiuamo a pagare il giusto (e anche sulle case e affitti inglesi potrei scrivere per ore!), cibo buono e un servizio sanitario dignitoso. Posso finalmente pianificare qualcosa nella mia vita, sposarmi, avere un bimbo, affacciarmi e vedere il sole più di 15 giorni l’anno, essere più serena.

Spero che la mia esperienza possa essere stata d’aiuto. Consiglio personalmente a tutti di provare a confrontarsi con l’estero, con un mondo diverso e una vita diversa. Aiuta a crescere, a migliorarsi, a imparare moltissime cose, ma si impara anche che casa propria non è così terribile come molti la dipingono e che chi sta male e ha continuamente bisogno di cambiamenti, dimostra di star male con il proprio io, e non con l’ambiente circostante. Ma se vi ammalate, PRENDETE IL PRIMO AEREO PER QUALUNQUE AEROPORTO ITALIANO!



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